Il recupero delle città: mantenimento o rigenerazione?

Le diverse componenti, culturali e professionali nonchè istituzionali, competenti sul territorio e sul ciclo edilizio intervengono indicando l’importanza del tema del recupero edilizio, a partire dai dati e le valutazioni del CRESME (Città, Mercato e Rigenerazione 2012, ricerca realizzata dal CRESME e promossa da CNAPPC, ANCE, su potenzialità e dimensioni economiche della rigenerazione urbana). I documenti CRESME appaiono esaustivi e chiari della pluridimensionalità degli interventi necessari per ottenere un reale recupero: da quelli minimi e diffusi, mirati al recupero edilizio (normabile attraverso i regolamenti edilizi ed urbanistici e oggi sostenuto da misure di incentivo fiscale), a quelli più estesi, mirati alla vera e propria riqualificazione e rigenerazione urbana.

L’obiettivo è quello di un rinnovo del parco edilizio esistente che interviene a sostegno e rivitalizzazione dell’esangue settore delle costruzioni; per quanto limitato, ben venga: il recupero appare certamente, se reso disciplina continua e diffusa, regolamentata al fine della qualità (soprattutto quella misurabile, ad esempio per le prestazioni antisismiche e energetiche), come una auspicabile e assolutamente prevalente prospettiva per l’attività edilizia nelle nostre città.

Avvertiamo invece in alcune posizioni e dibattiti in corso la volontà di perseguire con esso altri obiettivi: se con l’idea di una crescita(anche qualitativa) delle attività di recupero edilizio, concordiamo, non possiamo (come INARCH) non dirci contemporaneamente preoccupati che il termine “recupero” diventi quindi una facile e rassicurante velina, che sospende tutte le altre attività di trasformazione dello spazio costruito riducendo, in città che ne hanno drammatico ed urgente bisogno, i margini di una reale innovazione di questo spazio.

Siamo preoccupati, ben sapendo che la questione principe connessa al recupero, ovvero quella del contenimento del consumo di suolo, è (in quanto il suolo è risorsa primaria, limitata e decisiva per l’equilibrio dell’ambiente) centrale. Lo stop alla crescita delle città è un monito antico: la metafora della madrepora umana (man-reef) di Geddes (in Cities in evolution, 1915) per rendere il tentacolare estendersi dell’estensione urbana, rimane un riferimento valido. E, per riandare solo al passato recente di INARCH, in un convegno del 2012 coordinato da Rosario Pavia si ritornava a ragionare sulla crescita sregolata delle nostre città e il connesso consumo della risorsa suolo, a partire da un efficace titolo:

tanto consumo per niente: molto consumo / poca architettura / niente città

Siamo quindi preoccupati perchè, se il recupero dovrebbe certamente diventare quella prevalente prospettiva per l’attività edilizia di cui sopra, esso non può surrogare alla altrettanto urgente necessità di un più complessivo e generale rinnovo delle città e dei territori (anche a partire da ambiti prioritari); rinnovo che coinvolge la dimensione non del singolo edificio ma di tutto l’ambiente costruito. Chi conosce le dinamiche del rinnovamento urbano (conosce cioè i casi concreti, in cui si è con più forza e capacità realizzato) sa che è questo rinnovo la matrice di avvio, incentivazione e diffusione del recupero edilizio; non il contrario.

Sotto il termine recupero si tenta spesso di spacciare solo il mantenimento della città inalterata, così come la conosciamo (come purtroppo la conosciamo, per molte sue parti andrebbe aggiunto); come se invece non fossero le inerzie (imposte a spazi, funzioni, logistica), cui questo inopinato mantenimento costringe, a rendere irrealizzabile un reale e consistente rinnovo. Il recupero può diventare quindi un modo per rinviare ulteriormente il riconoscimento e l’importanza dell’intervento sui drammatici ritardi (di servizi, spazi, attrezzature e risorse per realizzarli) scontati dalle nostre città, dai nostri territori, dai loro abitanti; ritardi vissuti da tutti, non solo da chi, a vario titolo, potrebbe avere più diretto interesse nelle attività di recupero edilizio.

Per recupero può farsi quindi passare il mantenimento di simulacri di parti antiche o anche recenti della città: l’attività di svuotamento di corpi edilizi e il mantenimento di cortine private di senso architettonico anzitutto, ma anche l’attività di mantenimento di organizzazioni spaziali non più funzionali e rappresentative (ove lo siano effettivamente state) e, perchè no, anche il mantenimento (o l’accrescimento) di cortine sociali, etniche, culturali.

Non è una città che ci interessa; vorremmo una chiara e ferma conservazione di ciò che consapevolmente viene riconosciuto come patrimonio (forse accettando anche la mutevolezza nel tempo di tale riconoscimento, soprattutto in una società in trasformazione) ma anche la capacità, regolata e resa avvincente dalla partecipazione attiva degli abitanti e dal confronto libero di ingegni (imprenditoriali, professionali, culturali), di innovare la città, di dare nuove organizzazioni al nostro spazio.

E allora?

  • Attenzione che il recupero non sia slogan tramite il quale generalizzare miopi politiche di mantenimento dei corpi invivibili delle nostre città;
  • Attenzione che il recupero non sia scusa all’inettitudine(o peggio alla cosciente non volontà) di pianificare e programmare in modo aperto il futuro del proprio territorio (proprio a partire da un rinnovo dell’esistente);
  • Attenzione che il recupero non sia merce di baratto per la già insostenibile mancanza di spazi, servizi, risorse.

Fuori da vedute e prospettive (in ultimo, anche economiche) ristrette, siamo certi che gli obiettivi cui dobbiamo con decisione puntare (parafrasando il titolo del richiamato convegno) sono:

poco consumo / più architettura / nuove città (soprattutto su quelle esistenti)

 

Arch. Ignazio Lutri – Presidente IN/ARCH Sicilia