PREMI IN/ARCHITETTURA: Intervista a Alessandro Melis

PREMIO IN/ARCHITETTURA 2020 SICILIA E CALABRIA

I PUNTI DI VISTA DELLA GIURIA

Alessandro Melis intervistato da Maurizio Caudullo

 

Di recente, è stata confermata la notizia che l’apertura della Biennale di Architettura verrà posticipata al prossimo anno. Comunità Resilienti è il tema del Padiglione Italia curato da te. Cosa ci aspetta nel 2021?

Riflettendo su ciò che è accaduto quest’anno, immagino che il 2021 porti a tutti noi maggiore consapevolezza dell’importanza della resilienza per le comunità

Su questo, il tempo maggiore consente, forse, di comprendere questioni più strutturali che riguardano la resilienza e l’ecologia: il Covid 19 è un sintomo di una crisi ambientale più vasta, A caldo, rischiamo invece di limitarci a discutere soluzioni estemporanee sul distanziamento sociale, E’ necessario investire in strategie urbane per ridurre la pressione sugli ecosistemi della città globale.

Quale idea dell’architettura ti è particolarmente cara e ricerchi nelle tue esperienze, nelle elaborazioni progettuali, nella scelta dei riferimenti culturali?

L’architettura radicale, Intesa come possibilità di andare alla radice, anche in modo rivoluzionario, ed eversivo, alla pratica dell’architettura come ricerca. In fin de conti l’architettura che mi è più cara è quella che non c’è ancora. Non so come potrà essere, però sono certo di alcune caratteristiche: non sarà più un oggetto autonomo, ma parte di un continuo del paesaggio, inteso nel senso più esteso del termine. Costituirà un sottoinsieme di un ecosistema, della biosfera e della troposfera. Sarà transdisciplinare perché risponderà a principi di indeterminazione, cooptazione funzionale e resilienza come gli organismi sottoposti  alle leggi dell’evoluzione e dell’adattamento.

Ci piace riferirci ad una potente definizione data da Vincenzo Cabianca dell’obiettivo dei Premi In/ARCH: mettere in risalto l’eccellenza ma altresì denunciare la generalità della situazione del territorio, delle città e dell’edilizia (non una passerella dunque ma una indagine sullo stato dell’architettura). Dal tuo osservatorio quale panorama vedi di eccellenze e di situazioni critiche?

Secondo me esiste un legame tra eccellenza, come capacità creativa, e criticità. Per questo, per partecipare a premi come questo, ora, è più importante che in passato. Nei momenti di crisi, infatti, le eccellenze che, normalmente restano sottotraccia, possono finalmente emergere. Adesso, dato che lo status quo non è una opzione, i visionari, spesso emarginati da logiche di mercato, hanno finalmente l’opportunità di essere presi seriamente in considerazione. Oggi conta un po’ di più essere bravi, nel senso di talentuosi, e un po’ di meno il resto.

Il premio si rivolge a tutti gli attori associati alla produzione di una buona opera di architettura o ad un efficace processo di rigenerazione urbana (progettista / impresa / committente, cui si può spesso aggiungere una intelligente amministrazione del territorio e della città); come rendere più efficace e motivata la domanda di nuova architettura?

Nel sistema di relazioni citato, l’architetto deve aspirare a svolgere un ruolo strategico e puntare meno alle logiche del mercato delle costruzioni. Per quanto possibile deve guidare e governare le prescrizioni, anziché subirle.

È giunto il tempo dei visionari, gli unici in grado di ripensare radicalmente alle relazioni tra Umanità e Habitat. Chiudevi così un tuo articolo pubblicato qualche anno fa. Alla luce degli ultimi avvenimenti (o per meglio dire conferme), chi sono i futuri “visionari”?

I visionari apparterranno soprattutto alle prossime due generazioni di architetti, Quelli come me possono, al massimo, ambire a diventare un Andrea Del Verrocchio. I visionari sono coloro che, per definizione, sono meno compromessi dall’influenza della parte più inerziale della società. Per cui, chi comincia a lavorare o a studiare oggi, chi proviene dalla periferia, chi appartiene ad una minoranza culturale o di genere, chi è stato esposto alla transdisciplinarità, forse ha maturato una sensibilità che gli consente di superare convenzioni e dicotomie obsolete, come quelle discusse negli ultimi decenni. Le contrapposizioni tra minimalismo-massimalismo, archistar-non archistar, digitale-analogico, vuoto-pieno, probabilmente mettono fuori gioco entrambi i giocatori. Secondo me la scacchiera va ripensata.

 


 

ALESSANDRO MELIS

Alessandro Melis e’ Full Professor of Architecture Innovation (UK) alla University of Portsmouth e Direttore del Cluster for Sustainable Cities.
Nel 2020 e’ curatore del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia (Resilient Communities) e membro dell’Academic Body della Foster Foundation (Imagining Futures).
Precedentemente, Alessandro e’ stato Head of Technology e Director of the Postgraduate engagement presso la School of Architecture and Planning della University of Auckland, e’ stato condirettore del programma Brain City Lab, alla University of Applied Arts Vienna, guest professor alla Anhalt University Dessau, e Honorary Fellow alla Edinburgh School of Architecture.
La rilevanza del contributo di Alessandro Melis alla ricerca sulla resilienza e sulla rigenerazione del tessuto urbano, e’ confermata da oltre 130 pubblicazioni scientifiche, da almeno altrettante citazioni in pubblicazioni divulgative come Wired, New York Times, The Independent, Espresso e il Corriere della Sera, e da inviti a tenere conferenze presso istituzioni come il MoMA  New York, la Foster Foundation, l’UNESCO, l’ambasciata Italiana di Parigi, l’Istituto Italiano di Cultura a Londra, TED e universita’ come la China Academy of Art, e Cambridge.
E’ di recente pubblicazione una monografia sul suo lavoro dal titolo “Alessandro Melis. Utopic Real World”.
Alessandro ha fondato, con Gianluigi Melis. lo studio Heliopolis 21 che coinvolge oggi I soci Nico Panizzi, Ilaria Fruzzetti, Filippo Mariani e Laura Luperi. Il polo universitario San Rossore 1938, l’istituto Stella Maris a Pisa, Fonte Mazzola a Peccioli e la fiera del Trentino sono tra i progetti piu’ noti di Heliopolis 21.