POTEMKIN IN VAL DI NOTO ?

Facciamo seguito alle polemiche sorte in relazione al progetto presentato la scorsa settimana dall’Amministrazione di Scicli (Rg) per l’intervento di messa in sicurezza antisismica dell’edificio delle scuole medie in Piazza Italia a Scicli. Un progetto dei quali sono stati incaricati Gaetano Manganello e Carmelo Tumino (Architrend) nell’ambito di una candidatura del Comune per recepire finanziamenti MIUR dedicati a tale opera di consolidamento messa in sicurezza delle scuole.

Su questa importante occasione si innesta un progetto di rinnovo del complesso edilizio, a fronte del quale spicca purtroppo il “ripristino filologico” della facciata di un già demolito e preesistente edificio (il Collegio della Compagnia di Gesù annesso alla Chiesa madre). Siamo interessati ovviamente alla globalità della riflessione proposta dal nuovo progetto (anche in termini di utilizzo urbano); l’intero intervento (sul quale speriamo avere presto elementi di approfondimento e conoscenza) e la sua eventuale capacità di introdurre novità nel contesto urbano appare infatti centrale, e dovrà precedere valutazioni e monodimensionali e circoscritte al solo (seppure importante) disegno della cortina verso la Piazza.

Il complessivo e positivo rinnovarsi (anche economicamente) della città di Scicli (come di altri centri), ed il conseguente rafforzarsi della coscienza delle sue risorse e ricchezze, legate anzitutto al patrimonio storico-monumentale e paesaggistico, ma anche ai suoi e più recenti valori culturali (dovuti ad una riconoscibile attività intellettuale ed artistica) appare indubbio; la giusta difesa e rivendicazione di queste peculiarità si saldano purtroppo oggi con quella volontà di “ripristino” di una presunta unitarietà del paesaggio urbano tardo-barocco che nel tempo ha trovato a supporto sempre più mentori ed argomenti (a sproposito o meno) nonché il pervasivo pericolo dell’affermarsi (sostituendosi all’originario) di un commerciale immaginario da cartolina che di luoghi ridotti a maschere vive.

Sul tema, sul luogo e sull’oggetto molto anche in passato si è discusso; l’edificio del Collegio annesso alla chiesa madre della città, prospettante su piazza Italia, viene demolito negli anni ’50-60. Al suo posto, con destinazione scolastica si realizza un nuovo edificio, con un impianto del tutto nuovo e (cosa che da sempre è stata mal vissuta dalla comunità sciclitana, o almeno lo è stata da un certo momento in poi) una facciata che indubbiamente e coscientemente cambia la percezione della piazza e la qualità del fronte adiacente la chiesa. Alla preesistente cortina muraria scandita da una ordinata e gerarchicamente ritmata teoria di finestre e portali viene sostituita una facciata vetrata scandita da un telaio in c.a. conformato da archi parabolici; una soluzione architettonicamente non entusiasmante, letta nel tempo da vari osservatori e più o meno opportunamente o a sproposito come richiamo a Niemeyer ed all’architettura di Brasilia. Un edificio che ha risentito peraltro di un degrado materico e funzionale non diverso da tanti realizzati nello stesso periodo e che non si può certo considerare intoccabile.

A partire dagli anni ’80 la polemica su questa sostituzione vissuta come “violenza” si incanala verso l’obiettivo di un ripensamento soprattutto della soluzione di facciata: a tal fine sono indetti non uno ma due concorsi di idee (1983 e  2009); del primo (ormai remoto e con presidente della giuria P. Portoghesi, all’epoca estensore del PRG di Scicli) è vincitore il progetto di Claudio D’Amato Guerrieri; il secondo concorso (che meritoriamente definisce come oggetto dell’intervento l’intero isolato ed il sistema delle relazioni tra Piazza Italia e c.so Mazzini) viene esitato con un progetto (progettista M. Larinni) selezionato dalla giuria (presieduta da V. Sgarbi) che, per procedura scritta nel bando, viene sottoposto a consultazione popolare.

 

Questa boccia inesorabilmente il risultato definendo (forse una volta e per tutte) che in misura prevalente (almeno in relazione al numero di coloro che hanno espresso il loro voto) la comunità sciclitana pensa a quell’intervento in termini di risarcimento dell’antica immagine della Piazza e quindi di ricostruzione (dov’era e com’era) della facciata del preesistente Collegio.

Per inciso, le soluzioni scaturite dai due concorsi giocano entrambe esplicitamente su citazioni e richiami dell’architettura “barocca” e dell’impianto tradizionale dell’isolato urbano, pur introducendo impaginati differenti della quinta edificata e delle relazioni dello spazio interno con la Piazza.

Il dispendio di tempo, intelligenza, risorse economiche, etc… conseguente ai due concorsi è rilevante; quanto ne è scaturito (al di là dell’opinione sui progetti vincitori) potrebbe non essere considerato, in termini di confronto, vano (anche se confinato purtroppo al solo confronto intellettuale, ma questo è un altro discorso). Ma certo si è fatto strame per l’ennesima volta dell’istituto “concorso di idee”, oggi sempre di più ridotto a inutile passerella (sarà un più convinto e serio ricorso al “concorso di progettazione” la cura?).

Per rimanere all’architettura ed alla città: il binomio facciata/edificio o isolato appare il tema su cui sembra essersi giocato anche il recente sviluppo progettuale. A Scicli non viene contestato o non si è contrari al rinnovo dell’edificio, ma rimane ferma come un macigno e sorda al confronto la prioritaria volontà di restituzione alla comunità della “facciata” preesistente; una volontà che ha già portato alla sconfessione del lavoro della giuria del secondo concorso (2009) e contro la quale non sono evidentemente valsi pareri, dibattiti, consulti di tutt’altro avviso (espressi anche da Inarch/Sicilia in Consiglio comunale). Una volontà che, ad essere cattivi, appare come la richiesta di una “maschera” che copra quello che è stato vissuto come uno sfregio; dietro la maschera va bene anche il più moderno e attuale dei complessi edilizi; dietro la maschera è ammesso (anzi, è forse coscientemente auspicato) anche il più nuovo degli spazi.

Di questa tendenza alla conservazione appare inutile non tenere presuntuosamente conto (come se architettura e città fossero esclusività di “esperti” e non anzitutto luoghi vissuti e immaginati dai loro abitanti); oggi registriamo però tale tendenza anche come esclusivo e crescente punto di vista istituzionale e sociale per intervenire sullo spazio e la città; come soluzione tranquillizzante e facilmente digeribile, anche politicamente. Questa volontà è stata infatti fatta definitivamente propria anche dall’Assessorato alla Cultura regionale e dai suoi organi periferici: sia che lo stesso promuova la richiamata LR 13/2015 sia che presieda a singoli ed individuati casi, come quello in oggetto. In una regione ricca di riconoscimenti UNESCO, il futuro si ammanta del caldo abbraccio del passato, anche se ridotto a pantomima.

La scelta specifica (mascherare un intervento di rinnovo finalizzato alla sicurezza ed a una maggiore funzionalità urbana) ci appare non condivisibile e frutto di un clima culturale con vecchie radici ma che in più episodi avvertiamo come rifiorente. Per chi non se ne fosse accorto ne è portatrice anche la LR 13/2015, la legge regionale finalizzata ad una presunta “valorizzazione dei centri storici”, che degli stessi fornisce una ridicola visione, sclerotizzata e anti-progettuale.

In continuità con quella, l’Assessorato alla Cultura regionale e i suoi organi periferici intervengono ora a indirizzare ad oltranza ed esclusivamente verso la conservazione (o il ripristino, ricostruzione) gli interventi sottoposti alla loro giurisdizione, segnando un triste e autolesionistico arretramento, persino rispetto a quel poco di nuovo già praticato nei contesti urbani storicizzati siciliani.

Contro questo corre l’obbligo a Inarch, anche in rappresentanza dei numerosi soggetti associati (ANCE, Consulte professionali, Ordini, progettisti) di riproporre ostinatamente una visione del futuro, dello spazio degli insediamenti e delle architetture che ne sono materia, del tutto differente, puntata al rinnovo qualitativo (e allo stesso tempo rispettoso) della città e del territorio; un rinnovo che non si può pretendere di scrivere oggi copiando e falsificando l’antico.

Dal nostro punto di vista, e su posizioni opposte (anche se oggi messe al tappeto), di questa tendenza, a Scicli come nell’intera regione, appare ancora necessario dibattere; a questa tendenza occorre contrapposi: come “Città alla Potemkin”, in «Ver sacrum» nel 1897, Adolf Loos bollava la riproposizione in stile delle vecchie facciate. La battaglia è dunque antica ma sempre attuale e urgente.