“Attualità e utilità del PRG partecipato”, è il titolo di un incontro che si svolge il 19/05/2017 a Paternò, organizzato da Ordine e Fondazione dell’Ordine Architetti di Catania e associazione Arkèpolis.
Importante il tema, da riproporre ostinatamente nelle agende delle amministrazioni e dei soggetti che hanno a cuore il territorio e la sua qualità. Una riflessione impertinente (e che pensiamo essere condivisa da organizzatori e relatori): strano parlare di “attualità” per una pratica che in Sicilia (come il larga parte d’Italia) è pressochè rimasta lettera morta, tra autoreferenziali sperimentazioni delle università, qualche esperienza concreta ma isolata ed i facili proclami politici / strano parlare di “utilità” per una pratica che dovrebbe essere nel DNA del pianificare.
Alcune “buone pratiche”, che dovrebbero superare (o meglio integrare, indirizzandoli) i PRG e essere intelligentemente accolte dalle amministrazioni sono volutamente tenute al margine; il territorio di Paternò e dell’Etna ovest ha sottoscritto un Patto di Fiume, ha vissuto attorno alla sua formazione momenti partecipativi all’insegna della valorizzazione del territorio; ha disegnato prospettive diverse dal divenire “discarica” e dal facile lucro delle amministrazioni su questo.
Anche alla luce di recenti provvedimenti legislativi, e non solo nel territorio in questione, pianificare sembra invece essere generalmente inteso (e condiviso da molti soggetti istituzionali) come la disposizione di un pò di premialità volumetriche, l’agevolazione dell’attività edificatoria nei contesti storici, l’asfittica saturazione dell’esistente per dare risposta alla languente attività edilizia. Il tutto senza quadri di riferimento integrati, senza chiare e condivise prospettive (chiamatele visioni, se volete); questi non ce li darà la LR 13/2015, né i provvedimenti “semplificativi” in materia antisismica, etc… Sono misure importanti nel deserto che la burocrazia e l’inerzia regionale e locale stanno mantenendo. Ma la direzione è sbagliata o quantomeno la prospettiva limitata, nonostante l’operosità dell’INU, dell’ANCE e di tanti altri.
Non sono l’attività edilizia e l’economia di sussistenza su essa fondata che languono; anzi, queste stanno erodendo (o qualcuno lo vuole negare e tapparsi gli occhi?) le ultime possibili riserve per dare nuova “forma” allo spazio comunitario e territoriale. Stanno allontanando la possibilità di una vera, cosciente ed estesa partecipazione, riducendo nei fatti la trasformazione della città e del territorio ad una attività pulviscolare, incontrollabile, fatta di milioni di piccole pratiche, anche legalmente autorizzate (a volte più dannose di quelle bollabili come abusive). Si “governa” per vincoli, ingabbiando e mettendo in un definitivo cassetto parti estese del territorio, in un braccio di ferro non partecipato e improduttivo.
Sistematicamente ignorate le buone iniziative, l’innovazione degli strumenti (parte estesa della stessa legislazione urbanistica regionale, pur nei suoi limiti, appare lettera morta); sistematicamente depressi gli investimenti significativi e la capacità di interloquire con essi ed indirizzarli, estendendone le ricadute positive per la collettività; sistematicamente inascoltate le istanze profonde e vere dei territori. Le pratiche “dal basso” rimangono circoscritte, pur nel successo di alcune vere e innovative operazioni di rigenerazione; i temi ed i metodi lanciati dai ricercatori e dagli studiosi “on the road” diventano belletto per manifestazioni, non nuovi percorsi di impegno istituzionale.
E allora: a quando nuovo spirito di comunità, nuove città, nuovi territori? con chi e per chi? Partecipato non deve essere solo il PRG ma il progetto del territorio, che passa da molte altre possibilità e che non deve attendere.